L’intelligenza artificiale e il futuro del lavoro: come adattarsi e rimanere rilevanti

­Pubblicato su Il Sole24 Ore il 3 ottobre 2024

 

L’intelligenza artificiale sta cambiando il modo in cui lavoriamo, ma dobbiamo imparare a interagire con essa per rimanere competitivi

 

Riporto una parte dello scambio con il quale, nelle scorse settimane, un grande studioso internazionale di relazioni e di IA mi ha sensibilizzato sul fatto che «il tema più urgente dell’IA è “come cambia il lavoro” e non tanto il coordinamento o le interazioni tra le persone (o le macchine) che svolgono il lavoro. È “cosa fai” che cambia non “come lo fai” né con quale organizzazione».

E ancora “i modelli organizzativi (cosa fanno le persone e come si coordinano) sono nati e si sono sviluppati non solo per “fare le cose” ma anche per dare un senso alle persone, alla loro identità. L’IA rompe lo schema, cambia cosa facciamo, in una sorta di delega a qualcuno che “genera” con intelligenza basandosi su quanto abbiamo imparato e codificato “prima” e “mentre” (pensa per esempio all’oncologia computazionale)”.

Un passaggio rilevante rispetto al tema dell’invasione tecnologica che ha impatto (e impatta) sulle persone, che incide sul “senso” del lavoro (la parcellizzazione e la segregazione rischiano di isolare chi lavora dal progetto comune?) e sull’identità della persona (sono membro di un team con un obiettivo o un ingranaggio periferico che deve generare un output?).

Importante è diventare consapevoli su quanto queste riflessioni impattino sulla nostra quotidianità e sulla vita dei nostri team, perché poi chi è sul campo deve far quadrare tutti questi aspetti.

Le aziende lungimiranti sono impegnate a costruire team efficienti, frutto di percorsi strutturati a supporto delle persone, allenate a rimanere rilevanti e competitive nel tempo potenziando le competenze (individuali e di gruppo) essenziali nei contesti organizzativi complessi attuali che, grazie all’AI, fanno “cambiare il modo di lavorare”.

Ogni mio ragionamento parte sempre dalla convinzione che tutto quello che siamo e produciamo, è frutto della nostra capacità relazionale.

L’essere umano è socialità.

Noi siamo relazioni.

Come non impoverire noi stessi a causa dell’AI?

E se ormai l’IA ha rotto lo schema, cambiando il “cosa facciamo” rischiando di spingerci sempre più a “delegare” qualcuno che “genera” con l’IA, quali leve possiamo (e dobbiamo) tenere strette evitando di impoverirci con la delega eccessiva soprattutto se vogliamo rimanere “employable” ogni 5 anni come dice il World Economic Forum?

Non è più un tema di essere pro o contro l’AI. È un dato di fatto.

È una potenza che può offrire grandi opportunità e che sta già creando scompensi.

In molti dei miei corsi formativi trovo ancora (gravemente) frequente la non consapevolezza di manager di qualsiasi età (ma pericolosamente alta tra i senior) sul reale impatto che l’AI potrebbe avere sui loro lavori attuali, uno strumento con conoscenza sconfinata e una capacità ogni giorno migliore di elaborare risposte in tutte le lingue del mondo.

Che la tecnologia dell’AI esista e stia correndo a una velocità esponenziale è un fatto. Non fa parte delle suggestioni.

Il futuro sarà distinto tra chi saprà interagire/programmare (e quindi guidare) con l’AI e chi la subirà.

E questo è un bene o un male per le persone che lavorano?

È una risorsa e come tale va trattata. Un’arma è un bene o un male? Dipende chi la usa e a che fini (e questo periodo storico ci fa ulteriormente riflettere).

Possiamo considerarlo una risorsa nella misura in cui ne conosciamo le caratteristiche, le tecniche per ottenerne il massimo e illuminare le zone d’ombra.

È sicuramente una minaccia reale alla nostra professionalità se decidiamo di farne a meno a scatola chiusa, se ne ignoriamo i benefici e ne sminuiamo gli impatti.

Come restare rilevanti nel tempo?

Il tema è: ognuno di noi, come vuole continuare ad essere rilevante nel tempo?

Bisogna considerare le novità, il cambiamento, come parti integranti del nostro lavoro.

Occupiamocene, se non vogliamo preoccuparcene.

Gli psicologi organizzativi, quelli comportamentali, i sociologi e antropologi, gli esperti di change management, convergono su quello che, ad oggi, è considerato il terreno sdrucciolo dell’AI: la comprensione empatica.

L’intuizione e la creatività umana sono aspetti ancora difficili da replicare essendo in pratica, sintetizzo io, i frutti della qualità relazionale.

L’AI è in grado di suggerire soluzioni basate su dati storici (per adesso), ma non riesce (per adesso) a cogliere le sfumature emotive di una situazione complessa.

E quando si tratta di decisioni etiche, l’AI segue istruzioni, non è in grado di discernere tra giusto e sbagliato.

Per adesso.

Come nel sottotitolo della copertina del mio libro, la parola più importante è il virgolettato “per adesso”.

Ma allontaniamoci dai pregiudizi, nel bene e nel male. L’AI può diventare un compagno prezioso, liberando tempo da attività ripetitive e aprendo spazio per il pensiero creativo e le interazioni significative.

Per cui sbagliamo se ci approcciamo al cambiamento pensando “AI si, AI no”, perché il futuro si dividerà tra coloro che sapranno interagire con AI e coloro che la subiranno.

Non perdere la curiosità

I primi saranno coloro che si manterranno curiosi. Parafrasando Einstein, sopravviveranno coloro che si alleneranno a tenere attiva la loro mente che, come un paracadute, funziona solo in modalità aperta.

E a questo punto la differenza tra “cosa fai” e il “come lo fai” … non avrà più senso per la persona che sarà sostituita.

E come ha ben detto il Prof. Giuseppe (Beppe) Soda nella sua prefazione al bellissimo libro di Marissa King (“Chimica Sociale”): «Se non governiamo coscientemente le nostre relazioni finiremo, quasi senza accorgercene, a stringere più relazioni con persone … simili … rafforzeremo legami esistenti … immersi in reti sociali coese ma chiuse verso l’esterno … ma molto probabilmente per questi benefici pagheremo un prezzo: avremo minori possibilità di essere innovativi e creativi, rischieremo di riciclare continuamente le medesime informazioni e conoscenze, cristallizzeremo e polarizzeremo le nostre idee e opinioni, vedremo il mondo da una sola prospettiva. … Mentre se costruiremo strategicamente le nostre relazioni in modo che diventino più aperte e capaci di connettere mondi diversi e separati … otterremo i benefici di una maggiore innovatività e … superiori opportunità di crescita».

Io sono entusiasta dell’arrivo dell’AI ma mi rendo quotidianamente consapevole che moltissime cose che ho imparato negli anni e che imparo tutti i giorni mi giungono da confronti quotidiani con la mia rete di relazioni che è sempre più aperta, separata, diversificata, selezionata (non cerco follower ma la qualità delle relazioni) e alla quale dedico almeno 45’ al giorno, tutti i giorni, per conoscere sempre gente nuova e confrontarmi.

C’è sempre da imparare dagli altri, ma non basta dirlo, bisogna farlo.

Pubblicato su Il Sole 24 Ore il 3 ottobre 2024